The Indipendence of Miss Mary Bennet
Lo faccio o non lo faccio? Do una
possibilità al libro della McCullough oppure lo cestino direttamente? A questo
punto una premessa è d’obbligo: non credo che mi sarei mai nemmeno posta tale
domanda se questo libro non mi fosse stato così caldamente raccomandato, ed ora
il volume mi fissa dall’alto della pila di libri su cui l’ho distrattamente
posato quando sono rientrata a casa. La decisione da prendere è ardua perché
più o meno so a cosa sto andando incontro cioè ad un libro che non potrà mai
nemmeno lontanamente essere all’altezza di quel
“Pride and Prejudice” che ho tanto amato, so che troverò un’inevitabile
banalizzazione degli indimenticabili personaggi che la penna della Austen ha
saputo così magistralmente tratteggiare e questa consapevolezza non mi piace
affatto. Provo una sensazione di fastidio e di diffidenza mentre guardo il
volume di soppiatto, indecisa se fidarmi o no ma almeno devo provarci,
altrimenti non saprò cosa dire quando la mia amica mi chiederà il suo parere,
non potrò risponderle dicendo di non averlo nemmeno mai iniziato per paura che
mi rovinasse il lieto fine che trapela dalle ultime pagine del libro di Jane
Austen.
Ma dopotutto il rischio c’è, dato
che spesso è meglio che certe cose rimangano avvolte da un lieve alone
misterioso, come da una nebbia soffusa che le renda incerte e impalpabili e
penso che il futuro delle vicende della famiglia bennet sia una di queste.
Forse è questo il segreto per
avvicinarsi a questo libro: lasciare da parte ogni aspettativa e fare un po’
come se nella nostra mente ci fossero tanti compartimenti stagni così da
separare felicemente l’originale dal “sequel” non tentando nemmeno di fare
paragoni e immaginando che Elizabeth e Darcy non siano altro che una specie di repliche un po’sbiadite degli originali con i quali condividono poco più che il nome; poi si vedrà.
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