Composta nel 1836 la ginestra è l’espressione della poetica che caratterizzò gli
ultimi anni di Leopardi, non più idilliaca
ma eroica in cui il poeta difende le proprie posizioni e il proprio
pensiero più caparbiamente e coraggiosamente. La poesia è stata ispirata dalla
vivida impressione lasciata nell’animo del poeta dalla visione del fiore della
ginestra sulle pendici del Vesuvio
“
Qui sull’arida pendice del terribile e
distruttore monte Vesuvio che non è abbellito da nessun altro albero o fiore distendi
i tuoi rami intorno profumata ginestra,
che ami i luoghi aridi .Ti vidi altre
volte abbellire con i tuoi steli luoghi desolati che circondano la
città che un tempo fu padrona del mondo
e sembra che con il triste e silenzioso aspetto rendano la testimonianza e il
ricordo dell’impero scomparso. Ora ti rivedo in questo terreno, amante dei
luoghi tristi e abbandonati dal mondo e sempre compagna di grandezze decadute.
Questi campi cosparsi di ceneri che li rendono sterili e ricoperti di lava induritasi che produce
rumore sotto i passi del viaggiatore; dove il serpente si nasconde e si
contorce al sole e dove il coniglio torna all’abituale tana sotterranea; furono
villaggi sereni e coltivazioni, e biondeggiarono di grano e risuonarono del
muggito del bestiame;furono giardini e palazzi gradite dimore per il riposo
degli uomini potenti; e furono città famose che il monte indomabile dalla bocca
di fuoco eruttando distrusse insieme ai loro abitanti con i suoi fiumi di lava.
Ora tutto lo spazio circostante è avvolto dalla rovina, dove tu ti trovi o
fiore gentile e quasi provando compassione per le disgrazie altrui mandi verso
il cielo un dolcissimo odore che conforta il deserto. Venga in questi luoghi
colui che è solito esaltare e lodare la condizione umana e noti quanto la
natura amorevole abbia a cuore il genere umano. E qui potrà anche stimare in
modo piuttosto preciso la forza del genere umano, che la madre crudele quando
l’uomo meno se lo aspetta può annullare in parte e in un sol momento con un
leggero terremoto o completamente e immediatamente con movimenti poco più intensi. In questi luoghi sono
rappresentata la fiducia in un progresso grandioso e splendido dell’umanità.”
In
questa prima parte della poesia Leopardi ci descrive un paesaggio arido spoglio,
privo di vita ad eccezione di quella rappresentata dalla pianta della ginestra
che ama luoghi solitari abbandonati da tutto e il suo profumo è l’unica cosa
positiva che si può trovare nei campi devastati dall’eruzione del Vesuvio che
ha cancellato la vita dai quei luoghi e ha lasciato al suo posto squallore e
desolazione. La ginestra sembra al poeta quasi provar pena per le sventure
degli uomini che inevitabilmente non possono che soccombere davanti alla
potenza della natura rappresentata ora dal vulcano, e gia in queste parole
possiamo ritrovare un tema chiave della poetica di leopardi: la concezione
della natura come matrigna malvagia. Il poeta ricorda di aver già visto questa
piante nelle campagne abbandonate che circondano Roma, indicata qui con una
perifrasi. In questi versi troviamo una sferzante opposizione tra presente
e passato realizzata tramite la
descrizione di come il luogo si presenta dopo l’eruzione del Vesuvio cioè
spoglio deserto e sterile e di come avrebbe potuto apparire prima che la forza
devastante della natura si abbattesse su di esso cioè ricco di vegetazione e di
ville patrizie. Questa opposizione è rimarcata dalla reiterazione de verbo
“Fur” che si contrappone a “Or” del verso 32. Negli ultimi versi di questa
prima strofe Leopardi invita gli uomini, gli intellettuali che sostengono
teorie antropocentriche e che lodano le facoltà dell’uomo e professano una
salda fiducia nelle possibilità umane a visitare quei luoghi devastati dalla
lava per rendersi veramente conto dell’effettiva forza del genere umano che può
venire annientata in qualsiasi momento dalla natura. Il poeta è quindi
consapevole dei limiti dell’uomo e critica aspramente l’ottimismo di coloro che
confidano ciecamente nel progresso tecnico e scientifico.
“Qui
guardati e specchiati secolo superbo e sciocco che hai lasciato la strada
tracciata prima di te dal pensiero risorto con il Rinascimento e tornando
indietro ti vanti del procedere a ritroso e lo chiami progresso. E tutti gli
intellettuali di cui la sorte malvagia ti ha reso padre lodano il tuo
atteggiamento puerile benché dentro se stessi ti rendano oggetto di scherno. Io
non morirò con questa vergogna; ma piuttosto il disprezzo che nutro nel mio
animo nei tuoi confronti lo avrò
manifestato il più apertamente possibile: benché io sappia che l’oblio ricopre
chi fu troppo sgradito alla propria epoca. Di questo male che condivido con te
finora non me ne curo per niente. Sogni la libertà e allo stesso tempo vuoi di
nuovo rendere schiavo il pensiero solamente grazie al quale ci siamo
risollevati in parte dalle barbarie e soltanto grazie al quale si cresce nella
civiltà che da sola guida i destini dei popoli verso il progresso. Quindi ti è
sgradita la realtà dell’amara sorte e del basso posto assegnatoci dalla natura.
Per questo hai volto vigliaccamente le spalle alla ragione che lo rese
evidente: e mentre fuggi da esso chiami vile colui che lo segue e magnanimo
solamente colui che illudendo se stesso o gli altri essendo astuto o folle
esalta la condizione umana fin sopra le stelle.”
In
questa seconda strofe Leopardi auspica che il secolo in cui vive prenda
coscienza della proprie contraddizioni che lo hanno portato a rinnegare i
principi della ragione la quale ha suggerito all’uomo la sua piccolezza e
finitudine ma che gli intellettuali del tempo hanno deciso di rinnegare forse
perché delusi e sviliti dalla bassa considerazione che l’universo ha avuto per
noi. In questi versi il poeta affronta un altro tema molto importante per gli
uomini di cultura dell’epoca cioè la paura di essere dimenticati, di cadere
nell’oblio dopo la morte e questo ha spinto molti per ottenere fama e
riconoscimenti ad assecondare i gusti della borghesia il nuovo pubblico di
lettori e le mode passeggere sacrificando
e svilendo così la loro arte. Leopardi invece rimane fedele alla sua
poetica e alla sua visione nel mondo preferendo rimanere integro piuttosto che
svendersi alle regole del mercato editoriale che favoriva la diffusione di
opere di scarso valore ma commercialmente interessanti relegando così ai
margini produzioni pregevoli e meritevoli che di conseguenza non potranno
passare alla storia. In questi versi quindi possiamo notare l’aspra polemica di
leopardi nei confronti della società in cui vive incurante della meritocrazia.
“
Un uomo povero o malato per quanto sia dotato di un’anima generosa e nobile non
si definisce né si ritiene ricco e nemmeno forte e non si rende ridicolo
ostentando fra la gente uno splendido stile di vita o una perfetta salute; ma
mostra senza vergogna la sua debolezza e povertà ,e si definisce tale parlando
apertamente e valuta la sua condizione per quello che è. Non credo che sia un
essere magnanimo bensì stolto quello che nato per morire, cresciuto nelle
sofferenze afferma che è stato creato per essere felice e riempie le carte di
disgustoso orgoglio promettendo grandiosi destini e straordinarie felicità
sulla terra che nemmeno il cielo conosce non solo questo mondo a popoli che un
maremoto un’epidemia, un terremoto possono distruggere a tal punto che a stento
ne sopravvive il ricordo. L’animo nobile è quello che ha il coraggio di alzare
gli occhi mortali verso il destino comune e che con parole sincere senza
omettere nulla della verità rivela il
male e la condizione insignificante e debole che la sorte ci ha assegnato. Quello che si
mostra grande e forte nella sofferenza e non incolpando gli uomini delle sue miserie non aggiunge l’odio e la
rabbia nei confronti dei propri fratelli cose più gravi di ogni altro male, ma
ritiene responsabile colei che realmente lo è che è madre degli uomini avendoli generati ma matrigna per l’affetto
nei loro confronti. Considera la natura come nemica ritenendo giustamente che
la società umana si sia riunita e organizzata in origine contro la natura e ritiene
che gli uomini si siano alleati tra di loro e tutti abbraccia con amore
sincero offrendo aiuto valido e pronto ed aspettandone in cambio nei pericoli
che alternativamente si presentano e nelle sofferenze della lotta contro la
natura comune a tutti gli uomini. E ritiene che sia sciocco armare la propria
mano per contrastare un altro uomo e
preparare insidie e ostacoli al proprio vicino così come sarebbe sciocco
in un campo circondato dai nemici proprio durante l’assalto più intenso
dimenticando i nemici e le aspre contese iniziare a mettere in fuga e uccidere
con la spada i propri compagni.
Questi
pensieri quando saranno come furono noti al popolo e quando sarà ristabilito
dal vero sapere il giusto terrore che per primo spinse gli uomini a unirsi in
una società contro la malvagia natura , l’onestà e la rettitudine dei rapporti
civili e la giustizia e la pietà avranno altre fondamenta al posto delle favole
piene di presunzione basandosi sulle quali l’onestà del popolo si reggerebbe in
piedi così come farebbe qualsiasi cosa fondata sull’errore.”
Questa
terza strofe Leopardi definisce le
caratteristiche dell’uomo nobile e dello stolto sostenendo come sia da
considerarsi degno di ammirazione colui che mostra apertamente i suoi difetti e
le sue debolezze con fierezza e orgoglio invece che con vergogna e che giudica
in modo esatto la propria condizione di uomo valutandone accuratamente le
possibilità e i limiti. Definisce,invece, sciocco colui che crede di essere
nato per essere felice e per provare piacere non rendendosi conto che in realtà
il suo unico destino è quello di morire
e che la sua vita è in realtà un cammino di dolori e sofferenze inserito
all’interno di un ciclo universale di produzione e distruzione di materia il
cui unico scopo è perpetuarsi. Inoltre sciocco è colui che crede
ottimisticamente in un progresso splendido che porterà l’uomo alla più completa
serenità e soddisfazione ignorando stupidamente che gli uomini, i loro destini,
le loro opere possono essere cancellate in un attimo con una semplicità
disarmante dalla potenza della natura. Invece l’uomo intelligente è consapevole
della sua caducità e fragilità e che le proprie sventure sono causate proprio
dalla natura stessa che è per il poeta al contempo madre in quanto ha creato
gli uomini e matrigna poiché resta indifferente davanti al loro dolore e dramma
che condanna l’uomo a non essere mai felice ma caratterizzato sempre da un
insanabile contrasto tra l’ infinito desiderio di trascendere i propri limiti e le proprie conoscenze e
l’impossibilità di raggiungere quel senso di completo soddisfacimento. Al verso
125 è importante notare il chiasmo “ madre è di parto e di voler matrigna” che
mette in risalto i due sostantivi posti in posizione nobile cioè all’inizio e
alla fine del verso e che indicano l’ambivalenza del rapporto esistente tra
natura e uomo. In questa strofe troviamo anche numerosi scontri di consonanti
nei vocaboli usati che hanno il fine di comunicare l’ardore del poeta che
difende le sue posizioni e polemizza contro la società del suo tempo e contro
gli intellettuali che ne fanno parte.
“Spesso
di notte mi siedo su queste pendici desolate che la lava pietrificata riveste
di un colore bruno e sembra che ondeggi e sopra questo territorio devastato
vedo dall’alto in un cielo limpidissimo brillare le stelle cui in lontananza fa
da specchio il mare e vedo intorno il mondo intero brillare nei vuoti spazi
sereni. Dopo che fisso gli occhi su quelli luci, che a essi sembrano un
punto, e invece sono immense tanto che la terra e il mare sono in realtà un
punto rispetto a loro alle quali stelle è del tutto sconosciuto non soltanto
l’uomo, ma anche questo pianeta sul quale l’uomo è nulla; e quando guardo quei
grovigli di stelle ancor più infinitamente lontani che a noi appaiono come una
nebbia a cui non solo l’uomo non solo la terra ma tutte insieme le nostre
stelle infinite per numero e per grandezza insieme con il sole dorato o sono
sconosciute o appaiono così come essi appaiono viste dalla terra, un punto di
luce nebulosa; allora al mio pensiero che cosa sembra la specie umana? E
ricordando il tuo stato sulla terra di cui è testimonianza il suolo che io
calpesto; e poi d’altra parte che tu credi di essere stata creata come padrona
e fine dell’universo, e quante volte ti fece piacere raccontare favole in
questo buio granello di sabbia che prende il nome di terra , per le quali i
creatori dell’universo scesero per te e spesso conversarono piacevolmente con i
tuoi rappresentanti e che persino la presente età che sembra superare
tutte in conoscenza e pratiche civili
insulta le persone sagge rinnovando le antiche speranze derise; quale
sentimento allora o quale pensiero prova alla fine il mio cuore nei tuoi confronti o infelice specie umana? Non
so se prevalga il riso o la pietà.”
In questa quarta strofe Leopardi
riflette sulla piccolezza dell’uomo che non è nulla di fronte all’infinita
grandezza dell’universo eppure spesso nella storia si è vantato di affermare
che gli dei sono scesi in terra per lui e hanno parlato con lui dando segno di
una grande superbia e presunzione. Gli uomini infatti in passato si sono
sentiti al centro dell’universo credendo che tutto fosse stato fatto per loro,
in funzione di loro. Questa per Leopardi è solo un’illusione creata dalle
teorie antropocentriche e dalle religioni nel corso dei secoli. Alla fine il
poeta conclude questa riflessione non sapendo se provare pena per la miseria
dell’uomo e incapace di accettare la propria condizione infelice o deriderlo
per la sua stoltezza. In questi versi sono frequenti le allitterazioni in “a”
che rendono l’idea di infinità e di illimitatezza dell’universo. L’infinito è
un tema importantissimo della poetica di Leopardi il quale sostiene che è
poetico tutto ciò che è vago, nebuloso, senza contorni precisi, sfumato e
quindi egli cerca di riprodurre attraverso il linguaggio la sensazione di
infinito.
“Come da un albero durante l’autunno cade un piccolo frutto
mandato a terra solo perché giunto a maturazione schiaccia, distrugge e ricopre
i cari rifugi scavati nel morbido terreno con grande sforzo da parte delle
formiche e le ricchezze che le laboriose formiche avevano previdentemente
raccolto con grande fatica durante l’estate in un punto; così le tenebre e una
valanga di ceneri, di rocce e di pietre piombando dall’alto scagliata verso il
cielo dal cratere tonante del vulcano oppure una immensa piena infusa di lava
bollente e di massi liquefatti e di metalli e di sabbia infuocata scendendo
furiosa sopra la vegetazione del pendio
della montagna sconvolse, distrusse e ricoprì in pochi attimi le città
che il mare bagnava là sulla costa lontana: di conseguenza sulle città
seppellite pascola la capra e dall’altra
parte sorgono nuove città sopra quelle sepolte e l’alto monte quasi calpesta
alla base le mura cadute. La natura non ha più riguardo verso la stirpe dell’uomo
che verso la formica e se avviene che le stragi sono meno frequenti tra gli
uomini che tra le formiche, ciò dipende solo dal fatto che la stirpe degli
uomini è meno feconda.”
In questa strofe il
poeta riafferma come la natura non si curi dell’uomo più di quanto non faccia
con ogni altra specie vivente esprimendo così il proprio giudizio polemico nei
confronti di ogni dottrina o filosofia che pone ostinatamente l’uomo al centro
dell’universo. Per Leopardi questa concezione antropocentrica del mondo è del
tutto errata ed esprime il cieco egocentrismo della specie umana che ritiene se
stessa il culmine della perfezione nel creato, l’esser che più si avvicina a
dio e per questo ha creduto a vanamente di poter controllare e sfruttare a
proprio beneficio le forze della natura ma questa non è altro che un illusione
come il poeta vuole dimostrare riportando e descrivendo il disastro provocato
dall’eruzione del Vesuvio il quale è poeticamente riportato attraverso numerose
allitterazioni consonantiche soprattutto “nt” e “nd” e anche vari scontri di
consonanti che aiutano ad evocare fonicamente il dramma di quei momenti e la
potenza devastante della natura davanti alla quale gli uomini si devono
inginocchiare,infatti le città da loro costruite sono state in pochi attimi
cancellate, demolite e coperte da una coltre di lava e cenere, fatto che può
essere letto simbolicamente come la riaffermazione della supremazia delle forze
naturali rispetto a quelle umane.
“
Sono passati ben 1800 anni da quando scomparvero sepolti dalla forza della lava
i villaggi popolati , e il giovane contadino che si occupa dei vigneti che a
stento la terra arida e bruciata fa crescere in questi campi, ancor solleva lo
sguardo sospettoso verso il monte fatale,che non è diventato per niente più
mite e che ancora minaccia la sua distruzione dei suoi figli e dei suoi poveri
averi. E spesso l’infelice passando
tutta la notte insonne sul tetto della sua casa rustica all’aria aperta e
sollevandosi più volte esplora il percorso della temuta lava che dall’
inesauribile cratere si riversa sul versante sabbioso la quale si rispecchia
nel mare di Capri, nel golfo di Napoli e nel porto di Mergellina. E se la vede
avvicinarsi o se nel profondo del pozzo sente l’acqua gorgogliare, sveglia i
figli, sveglia la moglie velocemente e fuggono via con quanto delle loro cose
riescono ad afferrare , vede da lontano la sua casa abituale e il piccolo
campo,che per lui fu unica difesa dalla fame, preda della rovente lava che
scende crepitando e inesorabile si distende sopra di essi per ricoprirli per
sempre. Torna alla luce dopo l’antico oblio l’estinta Pompei come uno scheletro
sepolto che l’avarizia o la pietà della terra scoprono, e dal cavità (scavo)
deserta il visitatore in
piedi tra le file delle colonne spezzate, contempla da lontano la doppia cima
del vulcano (il Vesuvio e il monte Somma) e la cresta fumante che ancora
minaccia le rovine sparse della città.
E nell’orrore della notte segreta
per i vuoti teatri, per i tempi deformati, e per le case danneggiate dove il
pipistrello nasconde i suoi cuccioli, come una luce sinistra che si aggira
tetra per i vuoti palazzi , corre il
bagliore della lava portatrice di morte che da lontano attraverso le tenebre
rosseggia e colora tutti i luoghi intorno. Così, la natura resta sempre viva e
vigorosa inconsapevole dell’uomo e delle epoche che egli chiama antiche e dell’avvicendarsi
delle generazioni, anzi avanza attraverso un così lungo cammino che sembra
rimanere immobile. Nel frattempo cadono i regni, passano i popoli e le lingue:
ella non se ne accorge: e l’uomo vanta di essere eterno.”
“ E tu flessibile ginestra che
adorni con cespugli profumati questi campi spogli e disadorni, anche tu presto
soccomberai alla crudele potenza del fuoco proveniente dall’entroterra che ripercorrendo
il luogo già conosciuto stenderà il suo mantello avido di morte sopra le tue
morbide foglie. E piegherai il tuo capo innocente senza resistere sotto il peso
mortale: ma mai piegato finora inutilmente e vigliaccamente supplicando davanti
al futuro oppressore; ma nemmeno sollevato con folle orgoglio verso le stelle,
né sopra la terra deserta dove tu sei nata non per tua volontà, ma per caso
fortuito; ma più saggia dell’uomo ma tanto meno debole in quanto non hai mai
creduto che le tue fragili stirpi fossero state rese immorali da te stessa o
dal destino.”
La ginestra è metafora dell’uomo
intelligente e consapevole della propria debolezza e inferiorità. Il fragile
fiore è contrapposto perciò allo stupido orgoglio degli uomini che si illudono
di essere i padroni dell’universo. La ginestra un giorno soccomberà
inevitabilmente come del resto ogni altro essere vivente alla forza della
natura ma almeno lo farà senza la viltà o senza l’orgoglio di chi pretende di
essere immortale, in questo perciò la ginestra è infinitamente più saggia
dell’uomo perché non ha la presunzione di volersi sottrarre al naturale corso
degli eventi.
La poesia appartenendo al periodo
della poetica eroica di Leopardi è caratterizzata da uno stile più aspro meno
equilibrato e non più ispirato dall’ideale poetico della vago e dell’indefinito
ma piuttosto finalizzato a rendere il più energicamente possibile le fastidiose
e dure verità sulla vita che il poeta vuole comunicare.
grazie mille per l'analisi attenta e dettagliata, mi è stata molto utile :)
RispondiEliminaMi fa piacere ti sia stata d'aiuto!
EliminaBravo... bella veramente
RispondiEliminaGrazie!!
EliminaComplimenti! Ottima analisi!
RispondiEliminaMi è sato davvero utile!
RispondiElimina